Al Met di New York le arti “primitive” sono più vive che mai

Il poeta messicano Mardonio Carballo pronunciò un testo composto in nahuatl, la lingua degli aztechi, e poi in spagnolo; Il musicista e attivista senegalese Baaba Maal si è esibito a cappella, poi con il gruppo di percussionisti MAX Percussion, mentre i Maori neozelandesi hanno ballato e cantato insieme ad Arapata Hakiwai, curatore del Te Papa Tongarewa Museum in Nuova Zelanda.

Mercoledì 28 maggio, nel corso di una serata di gala, il Metropolitan Museum of Art (Met) di New York ha celebrato, dopo quattro anni di lavori e un investimento di 70 milioni di dollari (62 milioni di euro), la riapertura dell'ala Michael C. Rockefeller dedicata alle arti dell'Oceania, precolombiana (oggi chiamata "antiche Americhe") e dell'Africa subsahariana. Ed era abbastanza chiaro che queste arti, a volte definite "prime", erano soprattutto molto vive e attuali in questa metropoli newyorkese, crogiolo di tutte le immigrazioni.

"Siamo a New York. Molti di questi oggetti fanno parte del patrimonio culturale di molti residenti. "Prendiamo l'esempio della nostra numerosa comunità afroamericana o messicana: è il loro patrimonio culturale", spiega a Le Monde il direttore e CEO del Met, l'austriaco Max Hollein , che vede nelle collezioni del museo "legami profondi" che "collegano ogni persona al proprio percorso storico". Gli oggetti contemporanei hanno completato la collezione Rockefeller, che porta l'approccio alle arti oceaniche, africane e sudamericane fuori dalla loro camicia di forza a volte etnologica.

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